domenica 15 marzo 2009

... Bisognerebbe essere un po’ alchimisti, maghi e poeti per poter solidarizzare con tutti coloro che nonostante tutto hanno speranza e pensano, creano e ricreano la storia tutti i giorni...
(Antonietta Potente)

Restiamo svegli sul tempo storico che ci sospinge

di Antonietta Potente


Che è un oceano?
Il mare è solo un lungo sogno

che sta sognando la terra

tra altalene di soli…

È il sogno della terra addormentata su una fiamma…

E che cos’è un sogno ? Un sogno…vediamo…un sogno…

Lasciamo la lezione per domani…

(Dulce Marìa Loynaz. Poetessa Cubana)

Osservo gli ultimi movimenti che si delineano in questa parte di storia dove vivo (Bolivia); percepisco l’importanza di questo tempo, il peso che può gravare sulla vita di tante donne e uomini comuni, bagnati una o più volte in battesimi di sangue e fango, sabbia, roccia, sole e pioggia, per poter incontrare l’arte della vita e il diritto a plasmare il proprio destino.
Scelgo un avvenimento tra tanti, più o meno nitidi; uno di quelli che ha avuto ripercussioni internazionali: la vittoria del «Sì» e dunque l’approvazione della nuova Costituzione politica dello Stato boliviano. Uno Stato, come scandisce lo stesso testo: plurinazionale e multietnico.
Come ogni avvenimento sociopolitico, anche questo provoca echi differenti, sia a livello nazionale che internazionale, ma personalmente non voglio commentare questa nuova possibilità a cui siamo giunti come popolo, ma piuttosto raccolgo alcune domande che, come nel poema che introduce le mie riflessioni, sottendono costantemente la vita e, anche in questo caso, guai se smettessimo di formularle, anche se fosse solo, nel segreto introspettivo delle nostre storie. Che cos’è…un oceano…un mare…una terra addormentata…un sogno. Non a caso ho scelto una poetessa che fa parte della tradizione culturale cubana; non a caso raccolgo il suo eco lasciato nel tempo, ancora più in là del suo sogno o della sua stessa vita e di quella della sua isola.
Come sempre e, sempre più volutamente, le mie riflessioni resteranno sospese nel tempo presente e, come canta questo bellissimo poema…lasceranno la risposta per domani…, così come ogni sogno, davanti a una più o meno certa realizzazione, non cesserà mai di accompagnarci e inseguirci in ogni giorno che ha ancora da venire.

Gli echi storici.
So molto bene che, dovuto alla situazione politica europea e soprattutto italiana, ogni intuizione di cambio alternativo nel panorama politico mondiale, sembra rianimare il respiro di chi sogna ancora una politica diversa da quella che, da anni, si è consolidata nel potere economico e sociale del neoliberalismo postmoderno.
Per questo, capisco che ogni eco che arriva agli orecchi dei sensibili uditori assetati di nuove macro e micro strategie politiche, solleva gli animi e crea un alone di speranza, soprattutto in quelle persone o gruppi che hanno sempre accompagnato processi di autodeterminazione dei popoli in differenti continenti e con differenti soggetti. È dunque normale, che i successi sociali di popolazioni con maggioranza indigena, o la introduzione di nuovi attori politici nel panorama mondiale, come per esempio Obama, facciano pensare alla realizzazione di un sogno. È normale anche che, per lo meno gli ambiti di tradizione di sinistra, guardino con interesse il capillare movimento politico dei popoli latinoamericani, tra riflessioni metafisiche e prassi alternative di vita e di economia.
Ed è proprio dal panorama latinoamericano che, ormai da un po’ di anni, giungono, anche se in modo diverso, echi di cambio. Tutti guardiamo con simpatia e speranza alle quotidiane metamorfosi di paesi come Bolivia, Ecuador, Paraguay, Brasile, convocati e assistiti da un Venezuela sempre più «primo attore». Nonostante tutto ciò, anche queste nazioni coinvolte in processi politici che attirano l’attenzione e alimentano la speranza di molti, in realtà restano ancora avvolti in correnti che in qualche modo bloccano il cammino vincolandole tra vecchio e nuovo.
Forse è per questo che, chi sta da questa parte del mondo, chi ha percepito i primi movimenti strategici di moltitudini di persone nelle loro quotidiane rivendicazioni, tra sogni di dignità e benessere, tra ancestrali fedeltà e nuove strategie economiche e sociali, percepisce che il cammino è ancora lungo. Chi ha visto infatti da vicino e ha avvertito sulla propria pelle e su quella degli altri una sensazione di brivido, vedendo varie volte l’alternarsi di presidenti o interi governi, nel giro di pochi mesi, giorni, ore o secondi, è probabilmente soggetto a una visione più critica su quello che accade nel mondo e anche nel mondo latinoamericano e, certamente non si pacifica e non si accontenta di vedere riuniti i capi di stato di questi paesi emergenti, o ascoltare i loro discorsi, anche quando tra di loro tracciano un’unica trama e una sola strategia.
È proprio su questo punto che irrompono i versi della poetessa cubana e soprattutto l’ultima parte…il sogno…la risposta lasciata per domani… Così che, se pur persistendo e appoggiando i sogni segreti e i concreti processi di cambio e, continuando a contrapporsi energicamente e criticamente a coloro che invece vogliono sviare questi processi e indebolire ogni tentativo alternativo. Mantengo infatti una sottesa nostalgia per qualcosa che, per ora, abbiamo solo visto o… salutato da lontano, come dichiara il testo biblico neotestamentario della lettera agli Ebrei (Cfr. Eb 11).

Il fantasma del populismo.
Circondata dunque da questi processi ancora in atto, vivendo notti inquiete che alimentano pensieri, paure, ma anche ulteriori sogni, mi ritorna in mente un antico testo profetico, a mio avviso molto interessante in questa congiuntura latinoamericana. Mi riferisco ad alcuni versetti del libro profetico di Daniele; una sorta di lamentazione di cui, oggi, come allora, forse non abbiamo ancora compreso il vero significato e la sua potenzialità mistico-politica. nella crescita di un popolo e di una umanità in cerca del riconoscimento della propria maturità, come direbbe Bonhoeffer: un mondo maggiorenne. Ed è proprio stando da questa parte di mondo che oggi come oggi, ritorna questa immagine biblica come una sfida silenziosa e perenne lanciata ai nuovi attori politici o alla politica in generale, una politica che sembra cadere nelle stesse trame di sempre.
Il testo a cui faccio riferimento è quello di Daniele 3,38: …ora non c’è più tra di noi principe, profeta o caudillo, sacerdote e olocausto, sacrificio, oblazione né incenso né un luogo dove possiamo offrire le nostre primizie.
Questo testo, probabilmente raccolto da una lunga litania di dolore, e ricordato sempre in momenti considerati drammatici lungo il cammino di un popolo in ricerca di liberazione, in realtà, a mio parere, sottende qualcosa di molto più profondo e ispiratore. Forse potrebbe diventare una e vera e propria critica a una mentalità che in realtà soggiace dentro ogni visione politica e religiosa di tipo soteriologico (salvatrice).
Infatti, sembra quasi che in ogni processo di liberazione, di crescita e di corresponsabilità socioeconomica, non riusciamo a pensarci senza nessuno che ci guidi, che faccia le veci di noi stessi e delle nostre responsabilità. Sembra quasi che allora, come oggi, tutti cerchiamo comunque e sempre un rappresentante, un mediatore, un leader, qualcuno che guidi.
Mi riferisco a processi di cambio che, in un modo o nell’altro, ricadono in un certo caudillismo o populismo che in fin dei conti è un nuovo processo di dominazione di pochi su una immensità che nessuno può contare e che comunque è la unica e vera protagonista di evoluzioni e rivoluzioni storiche economiche e politiche da cui sono nati questi stessi principi, sacerdoti e caudillos .
L’arte della sopravvivenza alternativa dei popoli, resta un mistero che sottende, qualcosa che, per esempio, dal punto di vista teologico, leggeremmo come una e vera e propria opera alternativa di un sogno divino che come nella genesi dei tempi, sorvolava le acque e creava ancora più caos fino a partorire infinite e differenti esistenze. È comunque certo che quest’arte alternativa non è sinonimo di perfezione o assenza di ambiguità, ma solo teatro di sempre nuove possibili alternative e cambi. E probabilmente è su questo piano che si gioca la lamentazione del profeta. Pensare che il popolo abbia sempre bisogno di persone che facciano da mediatori e quindi da leader politici o religiosi. Da questa lamentazione sembra proprio che non riusciamo mai a stare senza distaccate o evidenti figure istituzionali che ci rappresentino. In questa prospettiva sembra che cadiamo tutti e destra e sinistra si assomigliano e coincidono, così come coincidono istituzioni religiose e politiche.
Mentre il mondo che si considera adulto e cerca bene o male di togliersi di dosso ogni dipendenza, dottrinale, ideologica, il sistema politico anche quello che si presenta come alternativo ai vecchi sistemi, non riesce a inventarsi e pensarsi in un altro modo.
Così che il lamento del profeta che nel quadro biblico si potrebbe anche capire, visto ciò che significavano quei ruoli nell’universo simbolico del popolo di Israele, oggi come oggi, lo potremmo rileggere in un altro modo. Una storia, infatti, che si continua a pensare rappresentata da capi, sacerdoti o profeti non è ancora una società veramente responsabile e creativa. Anzi questi processi assumono un aspetto molto ambiguo rivestendo i processi di liberazione di un tono profondamente populista e sappiamo che ogni populismo è comunque negativo.
Oggi, senza retrocedere o negare i parti storici latinoamericani, sentiamo che il momento che viviamo non è un nuovo ordine politico, ma un tentativo ancora molto lontano da quella che può essere una possibilità alternativa. In realtà anche qui, non abbiamo trovato ancora un altro modo di far politica. Eravamo fiduciosi in sapienze alternative, gestioni differenti della vita e visioni del cosmo diverse. Come donna, in realtà, questa critica e questa paura, la attribuisco a che il modello sociopolitico comune è comunque un modello che fa parte dell’immaginario collettivo maschile di cui, dopo secoli, non possiamo ancora liberarci. Ogni rivoluzione ed evoluzione ci sembra possibile solo se portata avanti da questi rappresentanti maschili. È sintomatico nella profezia di Daniele, come questa lamentazione gira intorno alla mancanza di leader maschili. Così oggi come oggi, la politica latinoamericana soffre ancora questo pericolo; sembra che l’essere umano abbia bisogno di recuperare i suoi eroi, indigeni o meticci, ma comunque leader che si sentono rappresentanti di una moltitudine, dentro processi che per ora assicurano la sopravvivenza ma non sono ancora una vera possibilità alternativa. Senza sottovalutare niente di questi processi in atto nel mondo, non guardiamo la realtà come se queste fossero vere e proprie visioni di liberazione, ma piuttosto, restiamo critici, sentendo che per ora abbiamo solo intravisto qualcosa e che questi sono processi di transizione che vanno accompagnati e che hanno bisogno non solo di sostegno o solidarietà economica e politica, ma di un acuto senso critico e una ascetica vigilanza per non abbandonare un sogno dove prima o poi davvero e per fortuna, non ci saranno più profeti, né principi, né sacerdoti… né luoghi privilegiati per ottenere mediazioni particolari.
So benissimo che queste opinioni sono discutibili e che probabilmente per quelle persone che leggono alcune riviste o alcune pagine web, possono risultare riflessioni pericolose visto che, dopo il forum mondiale tutti continuiamo a pensare che abbiamo già trovato spazi alternativi e che i popoli sono coscienti di questi processi di cambio e soprattutto di ciò che questi processi comportano. Ma la mia inquietudine continua, perché ciò che rende questi processi più deboli non sono solo le minacce esterne, le ambigue politiche internazionali e i giochi economici degli organismi finanziari o la piovra dei poteri di entità transnazionali con le loro mafie politiche affiancate anche da quelle religiose. Ciò che rende precari i nostri processi alternativi sono anche alcuni fattori interni, come per esempio un certo caudillismo politico, o modelli ora mai obsoleti nell’immaginario individuale dell’essere umano postmoderno e soprattutto delle fasce culturali di altre provenienze e in quelle fasce più giovani, ma che in realtà restano in vigenza nel quadro politico più comune. Forse ancora una volta la vittoria delle opposizioni a ogni cambio è proprio questa, far sì che per difendersi, anche questi attori politici che sembrano alternativi, tornino alle vecchie posizioni populiste, con sapore militare, con sapore a welfar state, qualcosa che assicura la mediocrità di ogni cittadino, qualcosa che comunque perpetua relazioni ambigue tra i generi, qualcosa che comunque serve per educare a una visione del mondo profondamente ristretta, fuori da ogni parto di dialogo storico, dove l’individuo senza le solite strutture sociali non è niente ed entra in preda di una depressione politica e sociale oltre che psicologica. Errori che si ripetono incessantemente, anche se gli uni accusano gli altri di averli propiziati, da un lato proprio in questi paesi dove comunque la maggioranza è sempre stata in balia di credi religiosi o politici con annunci assistenziali di liberazione che, in realtà, hanno fatto sì che la coscienza umana restasse legata al filo della dipendenza, e dell’infanzia spirituale e sociale, proprio perché chi assicurava la liberazione e la vita era comunque un intermediario, un mediatore e se rappresentante del sesso maschile, meglio.
Oggi, mentre i processi di autodeterminazione dei popoli si sono intensificati ciò che non si è intensificato è la struttura di questo processo che comunque segue sempre gli stessi parametri e dunque tiene, gli stessi rischi, cadendo in una prassi che più che assumere i colori di un processo di autonomia dell’essere umano, sembra restare costantemente ancorato a quello stato primordiale di bisogno che ha fatto dell’essere umano un essere religioso, ma decisamente non mistico o delle sue intuizioni sociopolitiche un eterno ritorno simile a quello dell’olimpo degli dei greci.
Come ci piacerebbe invece, pronunciare questa lamentazione al rovescio: …per fortuna oggi non abbiamo più principe, profeta, sacerdote… perché come si sognava in un altro testo biblico, per bocca del profeta Gioele, tutti hanno la possibilità di sognare: anziani e giovani, liberi e schiavi divenuti liberi… (Cfr. Gio 3,1-2).
Forse questa è una anarchica illusione, può darsi, ma è comunque una intuizione di chi continua a credere nei parti di sopravvivenza di donne e uomini comuni, nei percorsi della ricerca e dell’osare umano, nel desiderio di sfociare in altre dinamiche di resistenza e di vita, perché, come direbbe il filosofo Edgar Morin, la prosa ci fa solo sopravvivere mentre la poesia invece, ci fa vivere…
Purtroppo, ci sembra che la politica sia ancora legata alla prosa e che ogni cambio, in fin dei conti ci porta alla mediocrità di essere cittadini, indigeni o meticci, ma comunque mediocri cittadini assicurati dalla certezza che qualcuno penserà e veglierà su di noi e ci assicurerà la sopravvivenza.
Un’antica dialettica dunque, tra la mediocrità di una storia che mi assicura il sopravvivere e la creatività di un sogno che risveglia costantemente, come ispirazione poetica, per poter vivere e non solo sopravvivere.
Europa come sempre, soprattutto la sinistra, forse guarda con speranza a questi movimenti con sapore rivoluzionario dei popoli, forse anche per consolarsi o per tranquillizzare la propria coscienza dopo il fallimento di una politica nazionale ed estera decisamente mal gestita. E così, oggi come oggi a questo sogno si è aggiunto anche il mito di Obama con tutto ciò che questa persona rappresenta nell’identità individuale e collettiva della complessità nordamericana. Ma nella vita concreta di chi davvero ha lottato in lunghi e inquietanti dormiveglia e più volte, ha attraversando i sentieri del limite e della sopravvivenza, il mito non basta più. Così come non gli basta più il senso di un immaginario collettivo, perché vuole camminare ancora con le sue proprie gambe. È così che la sua creativa resistenza scompiglia le correnti sicure e statiche dei venti che nacquero come moti vorticosi incontenibili ma che la ufficialità li ha resi ripetitivi e piatti, come coltri pesanti sul cammino dei popoli. Riconosciamo dunque che noi esseri umani ci muoviamo ancora nell’ottusa visione di coloro che pensano che gli altri hanno sempre bisogno di qualcuno e così abbiamo costruito i nostri universi simbolici individuali e collettivi e atrofizziamo il sogno, per fortuna esiste una incoscienza totale, che sospinge i sogni e trasforma le notti in spazi di significative ricerche e di inquietanti attese.
Restiamo dunque attenti, attente, come testimoni di un sogno che si muove nell’esistenza di donne e uomini comuni che, probabilmente, senza conoscere tutta la storia ideologica dei partiti e delle correnti politiche, ha il bellissimo sentore di una «altra vita possibile», un’altra storia, un’altra logica, altri rapporti, altri scambi, altri progetti istituzionali, altre leggi e altri cammini culturali e sapienziali di questa sinergica storia eco-antropologica.