venerdì 27 giugno 2008

Presentazione ANTERLUX

E' stata presentata il 20 giugno scorso ad Arezzo la nuova associazione Ant.er.lux. L’Associazione è nata con l’intento di sostenere il processo di crescita dei paesi in via di sviluppo ed il consolidamento dei diritti umani attraverso lo scambio scientifico e culturale.
L’impegno di Ant.er.lux è rivolto a progetti di redistribuzione che sappiano valorizzare le risorse intellettuali ed economiche di ogni popolazione e creare gemellaggi scientifico-culturali tra i continenti per realizzare un’economia solidale. Questi i principali obiettivi di un’associazione nata dalla volontà e dalla tenacia di Ersilia Ferrini e Luana Ghiandai e forte di una promotrice culturale di lucida razionalità come Antonietta Potente.
Il primo progetto di cui Ant.er.lux si è fatta promotrice è “Gli amici equosolidali”, una linea di prodotti naturali per animali realizzata in collaborazione con l’Associazione boliviana Phytosalud, che ha raccolto alcune piante officinali essenziali per la produzione di questi fitoterapici, e con la Cooperativa aretina Wipala, garante del processo commerciale.
Alla presentazione hanno preso parte la presidente Ersilia Ferrini, Antonietta Potente e Darìa Tacachiri Villca (infermiera boliviana impegnata nella formazione dell’Associazione Phytosalud), Carlo Simonetti (direttore della cooperativa Wipala) ed Alessandro Ciorba (medico veterinario e docente universitario presso l’Università degli Studi di Perugia. E' stata inagurata anche la mostra fotografica “Sotto il cielo della Bolivia”, un suggestivo percorso tra i panorami, i volti, i riti e le tradizioni della terra boliviana.

Di seguito pubblichiamo l'intervento di Antonietta Potente.

In questi tipi di eventi ogni parola può assumere un tono un po’ retorico; puro discorso che forse può sembrare anche demagogico.Ma per noi che questa sera ci presentiamo ufficialmente come associazione, questo evento non è per niente scontato.

Uso precisamente il noi: plurale maiestatico perché questo evento è nostro, è plurale, è di chi in un modo o nell’altro è parte di questa complicità. Vorremmo che questo spazio condiviso si allargasse e il noi diventasse espressione di personalità profondamente solidali con la vita.
Dietro a ciascuno di noi c’è una storia e ogni volta che la storia di ciascuno si incontra con quella di altri e in qualche modo si lega a quella di altri, diventa pubblica, edita, entra nel circolo di una vera e propria responsabilità politica, cittadina e culturale.

Il termine associazione, in fin dei conti, rivela questo; capacità di far sì che le nostre storie diventino davvero responsabilmente pubbliche, politiche, entrando in dialogo con le storie di altri, altre. Forse alla nostra associazione, proprio per essere stata pensata da persone che vivono in realtà differenti, era quasi impossibile non attribuirle anche questo specifico: Associazione Interculturale. Perché da subito si sono dovuti intrecciare i fili di mondi completamente diversi, di situazioni storiche e vocazionali differenti, perché il dialogo ci ha portato subito su scenari geografici diversi.

Oggi, momento in cui la diversità culturale è sotto processo. Oggi, proprio in Europa, dove le culture non appartengono solo all’immaginario dei racconti o dei documentari, ma sono realtà molto vicine, hanno dei volti concreti e si approssimano al nostro continente con problematiche esistenziali e sociopolitiche reali.

Oggi, dunque, parlare di interculturalità potrebbe sembrare una sfida troppo grossa per tutti noi, una inutile pretesa, visto che questa problematica non la riescono a gestire nemmeno i governi e le politiche ufficiali, per cui potrebbe sembrare impossibile e troppo azzardato da parte nostra, parlare di interculturalità.

Oggi che, mentre, si dichiara il 2008 come anno Europeo del dialogo interculturale, contemporaneamente si riceve notizia dalla Plenaria del Parlamento Europeo, nel suo primo atto legislativo che riguarda l’ approvazione di una direttiva, per niente innocua, sull’immigrazione.

Eppure è proprio oggi che noi vorremmo spingerci più in là per pensare in un altro modo, non solo opinando sui provvedimenti, ma provando a dire qualcosa e a muoverci in un certo modo in questa parte di storia che, ci piaccia o no, è diversa, molteplice, plurale. Vorrei ricordare a tutti noi che una associazione interculturale non sottovaluta la complessità dei processi storici di convivenza tra popoli e culture, ma anzi, proprio perché assume questa complessità prova a pensare alla diversità e a darle spazio, per favorire questo incontro e gestire questa problematica. Dietro ad ogni diversità ci sono soggetti con problematiche concrete, storie di sopravvivenza. Ci sono sogni, desideri, miti, ma anche diritti, ricerche della propria dignità, ricerche delle proprie identità e responsabilità.

E' per questo che noi vogliamo provarci, vogliamo dare il nostro contributo, senza scappare dalla realtà, falsificarla o semplicemente coprirla sotto il velo di atteggiamenti filantropici.
Noi vogliamo parlare delle possibilità che la storia ha, proprio partendo dalle sue diversità, proprio partendo dai suoi diritti, ma anche dalle sue risorse, quelle umane e quelle generosissime dell’ecosistema. E’ per questo che ci teniamo all’interculturalità.

Cultura, questa antica parola che viene dal latino, (dal verbo “còlere”) da un verbo che di per sé significa coltivare, attendere con cura, prendersi cura e che attraversa la differente gamma dei gesti umani: prendersi cura delle persone, di sé, della natura, delle cose (economia). Coltivare un pensiero, una educazione, cioè modi di stare in questa storia. Ma è ovvio sapere che ci sono molti stili, modi di coltivare, di prendersi cura e per questo entra questo dettaglio.

E’ uno scambio, c’è un inter…qualcosa che funge da legame, c’è uno scambio…tra…intra…fra, cioè tutto il senso di un dinamismo: provare a incontrare, a comprendere, conoscere, vedere…

L’interculturalità come metodologia di crescita tra contributi differenti, modelli differenti, nei complessi processi di crescita di noi individui e società. E’ una proposta contro ogni individualismo e anche contro ogni conformismo.

In questo senso la associazione diventa uno spazio alternativo, non sostitutivo delle istituzioni, ma propositivo, capace di individuare nuovi soggetti oltre a nuove problematiche e capace di dialogare politicamente con le istituzioni, capace di suggerire e di applicare e provare strutture differenti.

Questo è un gesto profondamente storico, cioè di chi vede i fatti, di chi osserva e diventa testimone delle cose che accadono.

Penso che oggi come oggi dobbiamo essere tutti un po’ storici, per uscire fuori dai nostri anonimati, per non lasciare che la storia sia in mano a poche persone e sempre le stesse, con le solite dinamiche di gestione, di pensiero, di azione. Ma lo storico, come dicono alcune etnie del Messico appare come un soggetto fatto di tante personcine… perché lo storico non è cultore del passato, ma del presente che a sua volta è fatto anche di passato. Essere storico dunque, è essere attenti, capaci di solidarizzare con il presente, di prendere iniziativa sul presente per non lamentarci sempre e per sentire che siamo ancora vivi e che la storia ha ancora molte cose da dire, ha ancora molte risorse, molte possibilità.

Noi dunque, oggi, molto semplicemente, vogliamo renderci disponibili a questa storia, rompere o abbandonare tutti quegli atteggiamenti che fanno la vita pesante per molte donne e uomini e per la stessa biodiversità, ricordandoci anche che esistono diversi punti di vista e ogni punto di vista è prezioso e va raccolto...

lunedì 23 giugno 2008

21/ Tessere reti - Rimini 11/04/08

Tessere reti: restituire, ricostruire, resistere.

di Antonietta Potente



Vorrei ripensare insieme la trama che tesse il titolo di questi giorni del Convegno: «Tessere reti: restituire, ricostruire, resistere».


Tornare a plasmare che tutti utilizziamo quando parliamo delle relazioni tra i popoli, continenti, culture, risorse naturali… Riaprire un discorso chiuso dove tutto passa solo e sempre attraverso l'ambito economico e del mercato, dove l'ingiustizia sembra avere solo il volto dei mercati e dei mercanti locali e internazionali. Tessere per riaprire il pensiero, le parole e la visione, sull'amore alle sapienze e alle diversità. Superare un linguaggio che oggi come oggi mi sembra divenuto troppo retorico.


Si tratta solo di una mia lettura, forse molto personale, intorno ad alcuni concetti e alcuni termini, usati nei nostri ambiti di impegno storico e che provocano in me alcune inquietudini.


Quello che propongo è soltanto un approccio, una chiave di lettura filosofica. «Tessere reti: restituire, ricostruire, resistere»: mi domando se a questi verbi, così cari nell'universo simbolico delle nostre complicità sociali, non possano esistere anche altri. Mi domando se oltre al restituire, ricostruire, resistere, non esistano altri gesti da esplorare. Ma per far questo parto ancora una volta dal contesto storico attuale e vorrei descrivere il contesto usando le eloquenti immagini di una danza: il Flamenco.


L'interpretazione è tratta dall'opera Live (la prima parte chiamata Martinete) di Joaquín Cortés. Grido, sogno, nostalgia, protesta; nomade passione di identità in ricerca.


Nostalgia, dolcezza e forza, intesa come sforzo. Frammenti di molte musiche e di molti movimenti. Nasce da un punto geografico senza arché, anarchico, ed è nomade come il desiderio e come il sogno. Qualcosa di intrattenibile, una vera e propria fuoriuscita di storia. Queste immagini si riferiscono a un canto, un grido… esplosione di una voce che segue il movimento più bello della vita, la fuoriuscita delle cose, siano esse suoni, scintille di luce, elementi della terra, frutti o esplosioni di lapilli vulcanici… desideri, parole… ma comunque e sempre fuoriuscite, perché la storia si porta avanti per queste fuoriuscite di vita, esplosioni di energie rimesse in movimento. Esplosione di un' idea, di un sogno, di un' intuizione, di un processo vitale. Non la monotona cronologica successione di avvenimenti, ma la fuoriuscita della resistenza. Perché anche questa danza, questo canto e grido, è una fuoriuscita di resistenza, no come passiva condizione di vita, ma come capacità di non farsi cacciare fuori dalla vita, succeda quel che succeda. Una mescolanza di stili di musica differenti: ingredienti orientali, indù, greci, bizantini, arabi, ebrei… Ingredienti che si sono fusi lungo la storia e sotto il sole dell' Andalusia…


I gitani, in seguito, sarebbero coloro che con spirito nomade raccolgono questi frammenti. Cultura mista, meticcia; un mistico linguaggio dei gesti del corpo e delle mani, una raccolta di gesti preziosi della vita e grido, espressione di nostalgie, pianti e lamenti, feste e gioie. Storie di dignità e storie di sfruttamento, ricerche e sempre più incessanti ricerche per arrivare al tempo della vita. Comunità clandestine, dice la storia, simboli di marginalità e disobbedienza totale. Probabilmente è per questo che comunque questa danza resta occulta e conserva toni misteriosi e io direi mistici. Soffusa dignità che viene dal basso e occupa lo spazio bellissimo della vita, anche se ufficialmente questa vita non la riconosce.


Anche il nome è curioso: Flamenco, i suoi gesti e movimenti ricordano quelli dei Fenicotteri che in castellano si chiamano Flamencos… Secondo alcuni potrebbe anche essere un gioco fonetico di una espressione arabo-spagnola «Fellah mengu» che letteralmente significa «Contadino senza terra». Per altri evoca il fuoco… Fa parte del mistero. E' comunque certo che chi sostiene il movimento e il passo, oltre agli strumenti, è il ritmo delle mani e dei piedi, insieme al grido , la fuoriuscita della voce. Nella parte che abbiamo ascoltato, è il grido di una donna… o forse della terra, dico io, visto che le parole che fuoriescono dal grido evocano la terra e la sua benedizione…Benedetta terra, terra benedetta, gridava questa donna, terra bruciata… io non so.., ma dopo la notte spunta l'alba e sorge il sole… anche la cadenza di questa certezza segue un ritmo: diviene certezza perché ripetuta, più volte.


Le conclusioni o, l'apertura verso il futuro, le affido al gioco misterioso delle parole di una canzone di Gianna Nannini: «Muro, muro». Alchemiche parole che ricordano elementi della storia quotidiana, ma che soprattutto rivendicano quel diritto che mantiene in vita la sapienza dei popoli. Segreto che raggiunge i nostri orecchi e i nostri occhi in un eco e in una luce silenziosa, evocando solo il mistero. Silenzio, segreto, aspetti così poco considerati nei difficili equilibri della pace e della giustizia. Prigione è non potersi chiudere dentro… Noi abituati al sogno di un mondo purificato, ma ancora così poco amanti di un mondo «diverso».


Mondo rifatto con i pezzi: pezzi di storia, pezzi di sapienze, pezzi di ideologia, pezzi di natura, di minerale, di risorse naturali… luce, aria, muro, ferro, pietra… Noi che parliamo sempre del presente con la nostalgia del passato, come se prima avessimo conosciuto qualcosa di totalmente bello. Come se ricordassimo il paradiso perduto e invece nessuno sa come dovrebbe essere, nessuno così come non lo seppero gli asceti del IV e V secolo, o i mistici del 1300 con le loro olistiche vite e gli idealisti illuminati e i rivoluzionari dei tempi tecnologici.


La verità non ha proprietari come il sole, l'acqua la luna, le nubi, per cui non solo bisogna difenderle dalle multinazionali, ma bisogna anche difenderle dalle grette ideologie, o dalle dogmatiche dottrine e dai facili imbrogli delle sornione politiche dei qualunquisti. Prigione è non potersi chiudere dentro… possibilità degli spazi segreti delle identità e delle dignità umane: celle interiori da cui possiamo salvaguardare i sogni e anche il futuro con la sua alternativa dei tempi. E questo, oggi, proprio oggi, tempo in cui gli individui sono dimenticati da tutti, perché massificati nell'economia e nel mercato. Potenzialità alternative ritrovate dentro, quando si scava nella storia, nella terra e anche nell'aria, graffiandola una più volte per percepire il suo vero significato e il suo contenuto. Un sapere cui soggetti sono persone concrete, individui e collettività, segreti principi attivi, capaci di alimentarsi e alimentare reazioni inaspettate di vita…


sabato 21 giugno 2008

Presentazione di "Qualcuno continua a gridare"

Venerdì 20 giugno, presso la libreria Edison di Arezzo si è svolta la presentazione del nuovo libro di Antonietta Potente, «Qualcuno continua a gridare» (la meridiana edizioni).
La onlus Ant.Er.Lux, nuovo soggetto aretino nel panorama della cooperazione internazionale, ha presentato il nuovo libro di Antonietta Potente «Qualcuno Continua a Gridare. Per una Mistica Politica».

La teologa domenicana, nata in Liguria nel 1958, da più di dieci anni ha trovato in Bolivia il perfetto equilibrio tra vita e passione. Il libro si legge tutto d’un fiato. Un libro «gridato a bassa voce», con la delicatezza e la determinazione di una donna che intende la «mistica politica» come «chiave di lettura per interpretare la postmodernità». «Ciò che accompagna armoniosamente queste riflessioni è la mistica – spiega Antonietta Potente nella prefazione del volume – qualcosa che la Chiesa si è sforzata di tenere lontano dalla quotidianità. La mistica è una trama segreta che vogliamo tornare a scoprire per sentire il calore della vita. Sono i sensi che si risvegliano provocati dalla vita, è l’alba dei sensi…quando tutto resta assolutamente in silenzio».

Il pensiero di Antonietta Potente cerca e si mette in sintonia con la ricerca dei protagonisti e delle protagoniste del racconto e poggia su una puntuale disamina della riflessione ecologica e di genere. «La mia teologia – continua la scrittrice – è una scienza solidale e complice con i narratori e le narratrici di racconti. Tutte e tutti siamo sfidati da questo: ci sono coloro che fanno teologia ufficialmente e coloro che semplicemente raccontano o semplicemente vivono, respirano, stando ‘dentro’ e nulla più. Tutti i soggetti della teologia debbono uscire da ogni schema prestabilito e seguire la vita con i suoi delicati movimenti, stare dentro di lei... non solo con il gusto di ‘servire’, ma anche di ‘toccare’: questo è il gesto mistico-politico della vita».

L’opera di Antonietta Potente si sviluppa a partire da una ricerca ermeneutica intorno alla teologia, come arte dell’etica nella storia, oltre che da un ripensamento della vita religiosa alla luce di una spiritualità ancorata al presente che unisce mistica e politica. La sua riflessione lucida e concreta la pone tra le teologhe più fertili e creative del panorama italiano e sudamericano.

All’incontro hanno partecipato: Ersilia Ferrini, presidente di Ant.Er.Lux, Antonietta Potente, scrittrice e teologa da anni impegnata nella cooperazione con la Bolivia e promotrice culturale di nt.Er.Lux, Darìa Tacachiri Villca, infermiera boliviana impegnata nella formazione di una comunità di cinquecento donne a Cochabamba, Carlo Simonetti, direttore della cooperativa Wipala, Alessandro Ciorba, medico veterinario e docente universitario presso l’Università degli Studi di Perugia.